Come ogni mercoledì ci trovavamo tutti nella stanza dei pazienti per discutere con il professor Perfetti dei progressi ottenuti con i pazienti ricoverati nel suo Centro Studi, lo chiamavamo il giro. Era un momento di grande apprendimento, assistevamo a delle vere e proprie lezioni private di Perfetti, lezioni di grande valore perché nascevano proprio dai problemi pratici affrontati con i pazienti. Erano però anche momenti di tensione perché, come professionista, in quel momento si materializzava la responsabilità del recupero del tuo paziente, dovevi riportare i progressi, i problemi, gli errori e gli esercizi svolti durante tutta tutta la settimana di lavoro con il tuo paziente. A uno dei primi giri a cui partecipavo giunse il mio turno di raccontare a Perfetti e a tutti i colleghi in stanza, quali problemi avevo affrontato con il mio paziente e con quali esercizi. Confesso che non ho memoria di cosa avessi raccontato in quel momento, ma ricordo molto bene la risposta del Prof. Perfetti, immagino di aver dato l’idea di non avere ancora chiari molti aspetti di base legati agli esercizi infatti il professore disse: “Sarmati se non sa che cosa fare con il paziente, faccia il tabellone che non sbaglia mai, è un esercizio completo che coinvolge tutte le fasi della presa e del corpo” poi aggiunse “Se non sa come si fa, mi chiama e glielo faccio vedere io”.
Colpito e affondato.
Il tabellone non è l'esercizio
Sono passati circa vent’anni e non ricordo molti altri dettagli se non che il giorno seguente mi trovavo in palestra per lavorare proprio con lo stesso paziente di cui discutevo con Perfetti il giorno prima e mentre prendo i tabellone e lo preparo per svolgerlo insieme al paziente proprio come suggerito da Perfetti, penso alla brutta figura fatta il giorno prima, quelle parole “glielo faccio vedere io” bruciavano un po’, ma sentivo che non erano dette con sarcasmo o per offendermi, erano un invito vero e l’unico motivo per cui mi trovavo a 700km da casa era proprio per imparare da lui, in definitiva il tabellone come tutta la Riabilitazione Neurocognitiva è invenzione sua. Mentre facevo questi ragionamenti preparavo il tabellone e prendevo coraggio per avvicinarmi all telefono, alzare la cornetta e digitare l’interno dell’ufficio di Perfetti: “Professore sono Sarmati buonasera”…. “Sono qui con il paziente di ieri del tabellone, mi ha detto che avrei potuto chiamarla per mostrarmi come fare” Perfetti rispose “Certo Sarmati adesso salgo” e così fece offrendomi una dimostrazione pratica sul tabellone indimenticabile sottolinenando un aspetto dell’esercizio che non avevo considerato e in quel momento aveva proprio l’aspetto di un trucco. Era la prima volta che vedevo Perfetti svolgere un esercizio con il paziente e anche il paziente era piuttosto emozionato.
“Vede Sarmati, il tabellone non è l’esercizio, è il sussidio, l’esercizio lo decide lei come costruirlo, ogni dettaglio è importante”
Mentre sostiene il braccio e la mano del paziente come se fosse pronto per fargli scorrere il polpastrello del dito indice lungo il perimetro della T poggiata sul tabellone continuò dicendo: “Ad esempio, se il paziente ha difficoltà di attenzione, ill movimento può svolgerlo interamente a carico della spalla mantenendo ferme le articolazioni di gomito e polso, in questo modo il paziente deve dirigere l’attenzione su un solo elemento del suo corpo”
“Poi però per spingerlo a iniziare a dividere l’attenzione su più segmenti dell’arto superiore, potrebbe fare il 90% del movimento tramite la spalla e il 10% facendo partecipare il gomito” A quel punto Perfetti proprio come aveva suggerito, guidava il dito del paziente lungo il perimetro della figura, però stavolta il movimento del braccio era combinato, la maggiorparte dello spostamento avveniva dalla spalla, ma anche il gomito era coinvolto.
“Infine, può aggiungere anche il polso, quindi provi a pensarci, adesso il paziente per riconoscere la direzione deve integrare le informazioni di spalla. gomito, polso e quelle del contatto del dito”
Un suggerimento apparentemente semplice, ma in quel momento è stato molto importante per me, perché mi trovavo in una fase iniziale di apprendimento del metodo e ragionavo sugli esercizi in termini di sussidi e la prima frase di Perfetti, mi invitava proprio a distinguere l’oggetto dall’esercizio, in più rendeva ancora più affascinante il mio lavoro, perché mi ha dimostrato che ogni mia singola scelta dell’esercizio si rifletteva nel modo del paziente di attivare i suoi processi cognitivi e di apprendere, una spiegazione pratica dell’ipotesi di studio dell’intera teoria neurocognitiva:
“La qualità del recupero sia spontanea che guidata dal riabilitatore, dipende in modo strettissimo dall’attivazione dei processi cognitivi e dalla modalità della loro attivazione” C. Perfetti.