Riabilitazione Neurocognitiva cos'è?
La riabilitazione neurocognitiva è un’approccio terapeutico rivolto al recupero delle capacità motorie cognitive e sensoriali del paziente. Comunemente conosciuto come Metodo Perfetti, dal nome dello scienziato italiano che l’ha ideato e sviluppato a partire dalla fine degli anni 60.
Chi è Carlo Perfetti?
Secondo la teoria neurocognitiva della Riabilitazione:
“La qualità del recupero, sia di tipo spontaneo sia guidato dal riabilitatore, dipenda in maniera strettissima dal tipo dei processi cognitivi attivati e dalla loro modalità di attivazione”
Questa definizione utilizzata durante ogni lezione o conferenza dove si introduca la riabilitazione cognitiva è in realtà l’ipotesi di studio di una teoria che dalla base finalmente considerava le funzioni corticali superiori come determinanti per il miglioramento e il benessere della persona.
In cosa consiste il Metodo Perfetti?
Affronteremo in seguito il tema relativo alla denominazione, infatti il termine “metodo” o “tecnica” non si adattano a questa proposta terapeutica. Per spiegare in cosa consistono i trattamenti neurocognitivi vogliamo presentarne un esempio. Il video è stato realizzato con finalità esclusivamente divulgative, per questo deve rimanere chiaro fin da subito che ogni attività deve essere adattata alla specificità e alla gravità di ogni singolo paziente. Invitiamo fin da subito chi osserverà il video ad individuare le caratteristiche e le differenze con le richieste che siamo abituati a vedere nei confronti di pazienti con emiplegia.
Quali differenze ha il Metodo Perfetti?
- Problema
- Contrazioni muscolari
- Memoria
- Linguaggio
- Oggetto
- Occhi Chiusi
- Percezione
ATTENZIONE
La prima differenza che emerge da un esercizio di neurocognitiva come quello mostrato nel video è il ricorso a l’attenzione del paziente per il corretto svolgimento dell’attività. Diversamente da quanto spesso si è abituati ad assistere nelle palestre riabilitative dove il paziente invece subisce passivamente le mobilizzazioni o le manovre impartite dal fisioterapista che di volta in volta dirige la propria attenzione alle diverse parti del corpo del paziente; come se fossero quest’ultime ad aver subito menomazioni a causa dell’ictus, ma
“L’ictus colpisce il cervello e non i muscoli”
PROBLEMA
Una caratteristica dell’Esercizio Terapeutico Conoscitivo (altro nome con cui è conosciuto il metodo neurocognitivo) è di fatti la presenza di un compito che il paziente deve risolvere attraverso il proprio corpo e attivando i propri processi cognitivi. Non si tratta di un rompicapo esclusivamente cognitivo come potrebbe accadere durante una seduta con lo psicologo o il neuropsicologo, ma nemmeno un quesito esclusivamente fisico come spesso accade in quella fisioterapia che potremmo definire tradizionale.
CONTRAZIONI MUSCOLARI
Tra le caratteristiche dell’esercizio neurocognitivo troviamo questa che vede il riabilitatore non richiedere al paziente delle contrazioni muscolari esplicite ed evidenti. Questa scelta tecnica che in molti conosceranno o ricorderanno come attività in primo grado, è rivolta a permettere al paziente di apprendere a controllare e gestire la spasticità e in particolare uno degli elementi dello specifico motorio conosciuto come Reazione Abnorme Allo Stiramento, quello che comunemente nel paziente con ictus è identificato con l’ipertono. Chiedere al paziente con spasticità di compiere dei gesti senza insegnargli a percepire e controllare questo elemento della patologia rischia di non permettere al paziente di accedere a un miglioramento di qualità.
MEMORIA
Il paziente per adempiere al riconoscimento del regolo di volta in volta doveva far ricorso alla memoria, nonostante molti pazienti riferiscono di non aver subito nessun danno ad essa, riferendo di ricordare ancora numeri di telefono, compleanni, orari delle visite e pin delle carte di credito, tuttavia, va chiarito che la memoria impiegata durante lo svolgimento dell’esperienza è legata all’azione, alle sensazioni, al muovere; memorie fondamentali per la guarigione e purtroppo poche volte questi sono fattori considerati in riabilitazione.
LINGUAGGIO
L’utilizzo del linguaggio del riabilitatore durante lo svolgimento dell’attività terapeutica è rivolto a guidare il malato ad una corretta interazione informativa con l’oggetto, a dirigere le sue funzioni corticali verso la risoluzione del compito e non si tratta di un linguaggio rivolto invece ad ottenere da parte del paziente una risposta motoria, si tratta di una guida e non di ordini.
OGGETTO
L’oggetto in questo caso non è altro che un “estratto” del mondo con cui il paziente deve entrare in relazione e con il quale deve apprendere a percepirlo, non si tratta di un oggetto da dover sollevare come un peso o da dover modificare come un elastico o semplicemente da spostare da un lato all’altro dello spazio.
OCCHI CHIUSI
Nelle prime fasi del trattamento può risultare utile chiedere al paziente di chiudere gli occhi per facilitarlo a privilegiare le sensazioni provenienti dal corpo ( somestesiche) piuttosto che quelle visive.
PERCEZIONE
Il ricorso alla percezione è una caratteristica identitaria del metodo neurocognitivo in quanto nasce dalle prime intuizioni del Prof. Perfetti che osservò nei suoi primi pazienti una modifica della spasticità quando dovevano riconoscere e percepire più che a muovere intenzionalmente il proprio corpo senza tenere in considerazione la qualità.
Per quali pazienti è indicata la riabilitazione cognitiva?
Consultando i nostri pazienti ci rendiamo conto che proprio nei confronti di questa domanda c’è molta confusione anche da parte degli addetti ai lavori.
“È vero che il metodo Perfetti è valido solo per pazienti che non hanno deficit cognitivi?”
No, si tratterebbe di una contraddizione infatti è proprio nel caso in cui il malato presenta dei deficit cognitivi che ha a maggior ragione bisogno di una terapia che possa incidere sul miglioramento di tali processi. In questa risposta si cela però un’insidia su cui vale la pena fare un chiarimento. Molti ritengono di non aver esigenza di fisioterapia neurocognitiva perchè dal punto di vista cognitivo si sentono a posto, sono le stesse persone intelligenti e brillanti di prima dell’ictus e che la loro unica necessità sia fisica perchè è la paresi di un lato del corpo il loro unico problema. È importante chiarire che quando ci riferiamo ad alterazione delle funzioni cognitive non ci stiamo riferendo all’intelligenza del paziente o al suo comportamento, entrambe molto probabilmente non avranno subito alterazioni in seguito all’ictus, ma stiamo facendo riferimento a quelle funzioni cerebrali che sottostanno all’organizzazione dell’azione. Nel momento in cui dobbiamo svolgere un’azione, non stiamo solo contraendo i nostri muscoli, ma stiamo impiegando l’attenzione nei confronti del corpo, non quella necessaria per seguire e comprendere un articolo di un sito o un film. Molti dei nostri pazienti mentre erano ancora in cura sono tornati al loro lavoro, lavori molto complessi; ingegneri, insegnanti, politici e nel loro lavoro l’attenzione non si dimostrava alterata, ma quando era il momento di dirigerla nei confronti del corpo nascevano quelle diffcoltà che richiedevano una stimolazione specifica. Lo stesso malinteso nasce nei confronti della memoria, come già detto il paziente potrebbe ricordare tutto della sua vita e a volte anche di più in seguito all’ictus, ma questa che è di tipo autobiografico non coincide con il ricordo delle sensazioni e dei movimenti necessaria per imparare a muovere. Per rispondere ancora una volta, se non è vero che la neurocognitiva sia valida solo per i pazienti che privi di deficit cognitivi allo stesso modo non è vero che sia valida solo per quei pazienti che mostrano evidenti deficit cognitivi.
La Fisioterapia Neurocognitiva è rivolta solo ai pazienti con ictus?
No.Si può applicare la riabilitazione cognitiva a tutte le patologie che richiedano l’ intervento del riabilitatore e non solo a chi è colpito da ictus. Come brevemente anticipato nei paragrafi precedenti Carlo Perfetti ha iniziato interessarsi di riabilitazione partendo dalle lesioni cerebrali, dall’ictus e affrontando il problema della spasticità, per questo tale riabilitazione viene frequentemente utilizzata per i pazienti con emiparesi che hanno subito un ictus cerebrale. È stato un abile docente e ha dato vita a molti progetti formativi per terapisti della riabilitazione partendo dalla scuola di Calambrone fondata nel 1974, la maggiorparte dei suoi allievi ha continuato a interessarsi della prima passione di Perfetti per le conseguenze da ictus, tuttavia si tratta di un metodo riabilitativo che non vede una sua applicabilità isolata ad una malattia in particolare, infatti la neurocognitiva è utilizzata nel campo della riabilitazione ortopedica, nel paziente con parkinsonismi, sclerosi multipla, nella rieducazione dell’amputato, nel dolore neuropatico, dolore centrale e per l’età evolutiva; tra le numerose collaborazioni professionali con molti medici, spicca quella con Paola Puccini grazie alla quale gli studi e gli sviluppi della teoria neurocognitiva trovavano applicazione pratica nei pazienti con disturbi dell’età evolutiva. È comunque vero, allo stato attuale, che è molto più facile incontrare terapisti che applicano il metodo alla patologia neurologica. Anche nel nostro ambito, essendo Valerio Sarmati un allievo di Perfetti (per questo nell’articolo viene utilizzato spesso l’appellativo Professore) ha ereditato la passione per la cura dell’ictus e anche per questo motivo i programmi di fisioterapia di Stroke Therapy Revolution sono rivolti esclusivamente a pazienti con conseguenze da ictus.
Quali sono le basi teoriche della Teoria Neurocognitiva?
- Movimento come atto di conoscenza
- Recupero come apprendimento in condizioni patologiche
- Corpo come superficie recettoriale
Questi sono veri e propri pilastri che sostengono la teoria neurocognitiva e che a loro volta nascono oltre che dall’intuizioni di Carlo Perfetti, dai contributi delle neuroscenze e dal lavoro in palestra del riabilitatore. Investono tre oggetti di studio fondamentali per il fisioterapista che sono: corpo, movimento e recupero. Si è portati a pensare che tali concetti siano oggettivi e non suscettibili a interpretazione, ma nella realtà anche il corpo, così materiale e concreto può essere interpretato in modo diverso a seconda della teoria di riferimento dell’osservatore, lo stesso accade per gli altri concetti in esame.
Movimento come atto di conoscenza
Abitualmente si è portato a far coincidere il muovere con la capacità di contrarre muscoli e spostare i vari segmenti del corpo nello spazio, ma se proviamo a collocare il muoversi all’interno del contesto di un’azione e della relazione che si crea tra il nostro corpo e il mondo ci rendiamo conto che non è accettabile studiarlo senza considerare la percezione. Se abbiamo l’abilità di muovere le nostre dita sul mouse e tastiera del computer è perchè in ogni istante siamo in grado di percepire dove è posizionato il nostro corpo nello spazio e i punti di contatto tra oggetto e corpo. La frammentazione del nostro corpo è il modo con cui riusciamo a entrare in relazione con l’oggetto e conoscerlo, riusciamo a ricavare numerosi dati, come la forma, il peso, la consistenza. Ogni informazione per essere costruita ha bisogno di vari gesti e un ricorso specifico della nostra attenzione. Per questo l’azione, viene identificata come un processo rivolto alla conoscenza. Queste richieste conoscitive, come abbiamo osservato infatti non spingono il malato a muovere senza un fine specifico e privo di questa tensione tra corpo e mondo.
Recupero come apprendimento in condizioni patologiche
Questa intuizione mette al centro l’apprendimento della persona come condizione necessaria per ottenere la guarigione in seguito alla malattia. Quando ci troviamo a dover imparare a suonare uno strumento o ci alleniamo in uno sport per affinare il gesto tecnico, stiamo mettendo in atto tutte le abilità necessarie per apprendere. Tale apprendimento modifica la biologia del nostro corpo e del nostro cervello creando nuove connessioni e migliorando la nostra abilità di entrare in relazione con il nostro corpo e con l’ambiente. Immaginiamo un insegnante di pianoforte che a un giovane allievo nella sua prima lezione gli offra esclusivamente mobilizzazioni delle dita e del polso, rinforzo della muscolatura dell’arto superiore e stretching e che queste attività si estendano anche alla seconda, alla terza e alla quarta lezione, il ragazzo e i genitori stessi si accorgerebbero subito dell’inconsistenza dell’intervento dell’insegnante rendendosi conto che apprendere la funzione del suonare al pianoforte non coincide con il lavoro rivolto sulla parte del corpo che entra in contatto con il pianoforte. La stessa consapevolezza purtroppo non accade quando è il paziente che ha subito un ictus a recarsi dal fisioterapista dove quest’ultimo, proprio come il maldestro insegnante di pianoforte, dirige le terapie offrendo mobilizzazioni dell’arto, rinforzo della muscolatura e stretching, non coinvolgendo il paziente attivamente in un processo di apprendimento. Interpretare il recupero come un processo di apprendimento in condizioni patologiche, spinge il riabilitatore a costruire l’esperienza dell’esercizio in modo tale che il paziente debba imparare a sentire il proprio corpo e a gestirlo mentre entra in relazione con l’ambiente.
Corpo come superficie recettoriale
Ogni superficie recettoriale del nostro corpo ha un territorio di rappresentazione nel cervello; la retina proietta al lobo occipitale, i recettori presenti nel naso e nella bocca sono in grado di fornirci l’esperienza dell’olfatto e del gusto perchè proiettano nel lobo temporale allo stesso modo dei recettori presenti nell’orecchio. Anche il corpo inteso come tutto il nostro rivestimento cutaneo, i recettori presenti nei muscoli e nelle articolazioni hanno un loro territorio di rappresentazione nella corteccia cerebrale, nei lobi parietali. Ovviamente le cose stanno in modo più complesso di quanto appena descritto, ma si tratta di un assunto che ci permette di comprendere che quando osserviamo il corpo del paziente post ictus, dove una metà risulta paralizzata, quel corpo non è l’unico da dover considerare perchè anche nella testa è presente una proezione del corpo ( a dire il vero multiple come vedremo in seguito). Comprendere che il corpo non è solo quello che fisico fatto di ossa muscoli nervi e articolazione, ovvero il corpo che siamo in grado di vedere, ci aiuta a costruire l’esercizio in modo tale che le attività considerino anche le caratteristiche del corpo presente nel cervello, tra l’altro l’organo che nell’ictus ha subito il danno effettivo. In questo caso il corpo sarà difficilmente separabile dalla mente e dalle abilità cognitive.
Riabilitazione come problema culturale
Il Professore ha sempre nutrito vivo interesse per i legami tra cultura e il mondo della riabiltazione, consapevole che anche le pratiche mediche sono influenzate non solo dal contesto scientifico dell’epoca, ma anche dal contesto culturale e sociale. Vivere il corpo come una macchina che deve essere riparata, separata dalla mente e l’idea di riportare l’uomo in una posizione di dominio nei confronti della natura è frutto di un contesto culturale in cui siamo immersi. Per questo ci permettiamo di aggiungere un quarto assunto che permette al riabilitatore di osservare la riabilitazione come un prodotto culturale in modo da interpretare l’esercizio non più solo come un’esperienza in grado di modificare il malato, ma attraverso un’ottica ecologica, come uno strumento culturale.
Quali sono le basi scientifiche del metodo neurocognitivo?
- Neuroplasticità
- Spasticità
- Rappresentazioni corticali
Neuroplasticità
Per il riabilitatore è di fondamentale importanza approfondire il tema della neuroplasticità perchè il recupero che potrà ottenere con il proprio paziente dipenderà proprio dalle abilità plastiche del sistema nervoso e dalle modalità con le quali è possibile sfruttare dal punto di vista terapeutico questa proprietà dell’organismo. Nel corso degli anni ’80 alcuni brillanti ricercatori come Micheal Merzenich, Jenkins, Recanzone et al condussero una serie di ricerche sulla plasticità corticale i cui risultati furono di grande rilevanza per il mondo della riabilitazione, infatti dimostrarono che le rappresentazioni del corpo presenti nella corteccia erano suscettibili a modificazioni, potevano ampliare la loro superficie e restringerla a seconda dell’esperienza a cui i soggetti erano sottoposti. Quando tali esperienze richiedevano la risoluzione di problemi in cui i soggetti attraverso il loro corpo dovevano percepire e apprendere piuttosto che semplicemente muovere il corpo in maniera ripetitiva, allora avvenivano modificazioni della corteccia e miglioravano le prestazioni sensomotorie. Questa linea di ricerca molto affascinante permette al fisioterapista di organizzare la terapia in modo che il paziente non sia chiamato semplicemente a produrre batterie di movimenti stereotipati, ma che sia coinvolto in un problema la cui risoluzione richiede oltre alla frammentazione del corpo anche l’impiego delle proprie facoltà mentali, il tutto rivolto ad ottenere l’apprendimento di un agire motorio con caratteristiche più evolute di quanto nel post ictus, la malattia, attraverso compensi e sinergie, sia in grado di poter mettere in atto.Spasticità
Tra i contributi più importanti di Carlo Perfetti alla scienza della riabilitazione c’è quello relativo allo studio della spasticità in seguito a ictus. Attualmente la maggior parte degli studi pubblicati sul tema della spasticità esordiscono nelle loro introduzioni facendo presente che il termine spasticità non è più in grado di poter rappresentare correttamente i disturbi motori del paziente con emiparesi, in quanto non si tratta di un fenomeno unico, ma di un complesso di fenomeni distinti. Già nel corso degli anni ’70 lo scienziato italiano intuiva l’importanza di scomporre il fenomeno della spasticità in più componenti neurofisiologiche distinte […Fino adesso siamo in grado di distinguerne quattro…], diceva il prof, lasciando intendere la possibilità della scienza di individuarne di nuovi nel futuro.
- Reazione Abnorme Allo stiramento
- Abnorme Irradiazione
- Schemi elementari
- Deficit di reclutamento di unità motorie
Sulla base di tale distinzione, anche l’esercizio veniva a modificarsi, infatti nei confronti della reazione allo stiramento risultava efficace non chiedere al paziente di partecipare all’azione con contrazioni muscolari visibili per permettergli di apprendere il controllo su tale componente della patologia, tale modalità è conosciuta come modalità in primo grado. Il secondo grado invece è quando il paziente ha già appreso a gestire la contrazione riflessa dei muscoli quando allungati e può già partecipare all’azione dell’esercizio producendo dei movimenti con la guida del terapista proprio per imparare a controllare un ulteriore fenomeno incluso nella spasticità: l’irradiazione abnorme che coincide la comparsa di contrazioni involntarie di muscoli non direttamente coinvolti nell’azione. Un esempio di irradiazione abnorme è l’irrigidimento del braccio durante l’atto di alzarsi dalla sedia. Il terzo grado corrisponde alla possibilità da parte del paziente di includere nell’azione eserciziale più componenti fisiche e cognitive, per imparare a superare gli schemi elementari ed incidere sulla qualità e sulla quantità delle contrazioni muscolari.
Rappresentazioni corticali
La storia dello studio sulle rappresentazioni corticali del corpo e dell’azione ha radici profonde, ma è possibile individuare tra i primi contributi scientifici quello del chirurgo francese Paul Broca che identificò nell’emisfero sinistro e più precisamente nel lobo frontale postero inferiore una regione che ad oggi prende il suo nome, responsabile di alcune funzioni della parola. Da quel contributo fu possibile localizzare con precisione crescente diverse funzioni nell’encefalo, tra cui quelle legate al corpo in azione, come nel caso degli studi del chirurgo canadese Wilder Penfield che nel 1937 riuscì a mappare nella corteccia dei territori su cui venivano proeittate le informazioni provenienti dal corpo e altri invece responsabili dei movimenti dei singoli segmenti del corpo. Homunculus motorio e homunculus sensoriale erano i nomi attribuiti alle rappresentazioni grafiche di tali mappe che sembravano raffigurare proprio un uomo nel cervello. Nel corso del secolo scorso questa visione homunculare che prevedeva delle vie dedicate tra cervello e corpo venne superata da successivi studi che rivelarono un’architettura delle rappresentazioni assai più complessa, come nel caso degli studi di Strick e Preston che nel 1982 dimostrarono che ogni parte del corpo possedeva due rappresentazioni e non solo una come evidenziato da Penfield e che il motivo di questa duplice rappresentazione risiede nella necessità dell’organismo di accedere a più aree cerebrali a seconda delle diverse informazioni con cui il soggetto entra in contatto per svolgere una determinata azione, nello specifico della ricerca dei due scienziati si trattava di quelle cinestesiche (relative al muoversi) e quelle tattili. Nel 1986 Henry J. Gould III riscontrava la presenza di rappresentazioni multiple per ogni singola parte del corpo e che la conformazione non seguiva un andamento somatotopico come nella raffigurazione di Penfield e Boldrey, bensì con un’architettura a mosaico e “fratturata”, guidando l’analisi dell’azione verso un’ottica funzionale aiutando a considerare il corpo nella sua interezza e non analizzando il comportamento secondo le sue componenti esclusivamente biomeccaniche. In definitiva nel cervello non ci sono i muscoli o le singole articolazioni come suggerito dalla prima immagine di Penfield, ma assumono un significato rilevante anche l’informatività costruita tramite l’intera superficie recettoriale corporea e la loro integrazione, queste competenze scientifiche hanno permesso al riabilitatore a considerare l’informazione come un nucleo portante delle pratiche del riabilitatore. Studi ancora più recenti di Micheal Graziano dell’università di Princeton, hanno evidenziato come i movimenti prodotti da stimolazione elettrica prolungata della corteccia, assumessero un significto funzionale ed etologico ( ovvero legato alla specie), in quanto il soggetto nono si limitava a mostrare movimenti isolati di un segmento ma esprimeva dei gesti significativi che coinvolgevano più parti del corpo, come nell’esperimento della scimmia che a prescindere dalla posizione di partenza dell’arto superiore, a fronte della stimolazione dell’area di interesse, dirigevano la mano di fronte la bocca e procedevano con i movimenti della masticazione, contributo ancora una volta che pone il riabilitatore di fronte al quesito del significato che deve assumere per il paziente l’esperienza terapeutica.Metodo Perfetti, Conoscitivo o Riabilitazione Neurocognitiva?
Dove è possibile seguire corsi di formazione di Riabilitazione neurocognitiva?
Nel sito di Neurocognitive Academy è possibile trovare le informazioni su tutte le offerte formative disponibili. Tra gli obiettivi dell’accademia c’è quello di permettere al professionista sanitario della riabilitazione di poter formarsi nell’ambito della teoria neurocognitiva di Perfetti e di certificarsi come terapeuta neurocognitivo, in questa pagina puoi leggere tutte le informazioni di cui hai bisogno.
In quali strutture ricevere la neurocognitiva?
Quali libri studiare per conoscere il pensiero di Perfetti?
Potrai trovare banale questo suggerimento, ma per muovere i primi passi nel mondo della neurocognitiva è fondamentale leggere tutti i libri di Perfetti. In questa pagina i membri dell’accademia curano la lista bibliografica della teoria neurocognitiva dove puoi trovare tutti i riferimenti per i libri del Professore. In questo video invece offriamo alcuni suggerimenti per iniziare lo studio bibliografico. Infine ci sentiamo di suggerire anche il libro scritto da Valerio Sarmati intitolato InteraMente, alla scoperta del cervello nel recupero post ictus, dove è possibile trovare molti spunti pratici e teorici sulla riabilitazione neurocognitiva.